Ettore Brissa in memoriam di Gabriele Scaramuzza
Materiali di Estetica – N. 10.2: 2023
Alla fine dello scorso luglio è mancato a Heidelberg (nella cui Università ha insegnato a lungo) Ettore Brissa: nato nel 1932 a Domodossola, e dunque pressoché coetaneo di Fulvio Papi. Dopo un servizio funebre tenutosi il primo agosto a Heidelberg, Ettore riposa nella tomba di famiglia nella sua amata Cannobio. Questo mio ricordo personale presuppone le documentate, più ricche e pertinenti pagine di Massimo Venturi Ferriolo.
A pieno diritto si può dire che Ettore Brissa faccia parte della “Scuola di Milano”. Dopo essere stato accolto, nel 1950, nel Collegio Ghislieri, a Pavia si è laureato con Giulio Preti, come noto tra gli allievi maggiori di Banfi. Con lui c’era simpatia reciproca, consolidata gli ultimi anni negli incontri a Varese organizzati da Fabio Minazzi; in cui ha tenuto lezioni e relazioni di grande spessore. Verso di me mostrava una grande disponibilità, e una vasta umanità; sono sette anni minore di lui ma per me in lui rivive un’atmosfera cui resto molto legato, quella milanese degli anni Cinquanta: gli anni del risveglio “alla vita dello spirito” come si sarebbe allora detto: del Liceo Volta, del Ghislieri, di Pavia, dell’incontro con una cultura densa di sapori e con un modo coinvolgente di proporre la filosofia. Una “stagione irripetibile” che è stata insieme la stagione di Brecht al Piccolo ma anche di Maria Callas alla Scala. Insieme sono stati i tempi del prender piede di quella che Fulvio Papi chiamerà “Scuola di Milano”: Remo Cantoni, Dino Formaggio, Enzo Paci, Giulio Preti, Livio Sichirollo; ancora viva era la presenza di Antonia Pozzi. Densa di sapori fu la “scoperta” per noi dell’Abazia di Chiaravalle. Sullo sfondo la frequentazione di Daria Banfi Malaguzzi, le ore passate in corso Magenta 50 a consultare i manoscritti di Antonio Banfi; le persone ivi incontrate.
E perché dimenticare il primo affacciarsi, a quell’epoca, sulla scena di Enzo Jannacci e di Giorgio Gaber, e di Mina (grande estimatrice della Callas). La rappresentazione di L’opera da tre soldi (e qui è da ricordare Milly, accanto a Buazzelli e a Carraro) è più o meno vicina all’anno della morte di Banfi, la Medea di Cherubini si è imposta negli anni che stanno tra Ingens Silva, La coscienza inquieta e Praxis e empirismo. Con emozioni assimilabili si potevano frequentare lezioni di filosofia e mostre a Palazzo Reale. Coevi sono film di atmosfera milanese quali Rocco e i suoi fratelli (con quel non poco di Traviata che vi riecheggia: di quegli anni sono anche le celebri regie di Visconti alla Scala); all’inizio degli anni Sessanta scoprimmo La Notte, Il posto… Al di fuori dell’ambito milanese, ma vicinissimi alla nostra sensibilità, apparvero sugli schermi Senso (che come noto si apre su una scena del Trovatore alla Fenice), Il Grido, e più tardi La dolce vita, L’avventura; per non dire di Ordet, del Settimo sigillo e del Posto delle fragole, del grande cinema francese e americano che scoprimmo allora….
Del mondo di Ettore Brissa fanno parte luoghi quali via Mascheroni, in cui aveva abitato anche la famiglia di Antonia Pozzi. E persone quali Dino Formaggio, insuperabile insegnante di liceo, e che mi ha accompagnato poi a lungo nella vita. Il profilo che ne tratteggia Ettore mostra tuttavia connotazioni ben diverse da quelle che Formaggio ha mostrato come insegnante universitario – in anni in cui troppo si era frantumato per lui (sul piano non solo culturale), e di rifesso per me che lo seguivo.
Con Ettore Brissa se ne va un tempo ricco di suggestioni e di passioni, che rimangono luce nella mia memoria. La mia partecipazione al dolore per la sua morte non è priva di motivazioni profonde, sul piano affettivo oltre che culturale.
Informazioni sull’autore

Gabriele Scaramuzza (Milano 1939) si è laureato a Pavia e ha insegnato Estetica a Padova, Verona, Sassari e, da ultimo, a Milano. Si è occupato di estetica fenomenologica (Le origini dell’estetica fenomenologica, 1976); dell’estetica di Banfi e della sua scuola (Antonio Banfi, la ragione e l’estetico, 1984; Crisi come rinnovamento, 2000; L’estetica e le arti, 2007; Estetica come filosofia della musica nella scuola di Milano, 2009; Omaggio a Paci, a c. di E. Renzi e G. Scaramuzza, 2006; Ad Antonio Banfi cinquant’anni dopo, a c. di S. Chiodo e G. Scaramuzza, 2007). Ha compiuto ricerche sul tema della “morte dell’arte” in Hegel (Arte e morte dell’arte, con Paolo Gambazzi, 1998), cui si connettono l’attenzione al problema del brutto e del melodrammatico (Il brutto nell’arte, 1995; Derive del melodrammatico, 2004) e, più recentemente, all’estetica delle situazioni estreme.
Il testo è stato pubblicato: Materiali di Estetica. Terza serie – N. 10.2: 2023, Pagina 382
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